Formazione efficace. In azienda viene un formatore o un informatore?

ESPERIENZAL’offerta formativa a disposizione delle aziende è ricca e variegata. Non occorre nemmeno cercare sul web: la casella di posta di ciascuno è bersaglio quotidiano di offerte di corsi di ogni tipo, durata, argomento, prezzo. Come orientarsi? Molti formatori (o presunti tali) sono in realtà “informatori“, ossia vengono a recitare in aula un corso precotto e preconfezionato che oggi viene fatto in un’azienda alimentare ai commerciali e domani riproposto, identico, alla prima linea di management di un’impresa che opera nell’information technology.
Nella mia vita d’azienda ho partecipato a diversi corsi di formazione anche solo a scopo valutativo per poi suggerire alle risorse umane o all’area commerciale quali ritenevo essere i migliori. E spesso l’esito di queste “esplorazioni” è stato deludente.
Poi sono stato (e sono) a mia volta formatore e quindi ho esperito sul campo quello che funziona e quello che non funziona, generalmente, in un corso. Ne ho tratto così alcune regole che credo possano avere, se non valore generale, almeno una pretesa di oggettività. Devo premettere che mi sono sempre occupato di formazione di alto livello, ossia dei vertici dell’azienda e non della base, ovvero di formazione destinata a persone che della funzione che ricoprono sono già esperti. Proporre a un direttore commerciale con vent’anni di esperienza il corso base che si fa agli account non solo non ha alcun senso ma genera frustrazione e malumori.
Ma veniamo alle regole e a qualche suggerimento:
1) Diffidate dai corsi preconfezionati e a catalogo. Anche se sono fatti straordinariamente bene restano corsi standard che spesso non soddisfano l’esigenza formativa richiesta. Un buon formatore “costruisce su misura” ogni volta il percorso formativo adeguato al target, alla tipologia di impresa sulla quale va ad operare e rinnova gli argomenti affinché siano sempre adeguati all’obiettivo da ottenere. Pretendete, quindi di collaborare, alla costruzione del corso: se il potenziale formatore non ve lo permette allora cambiate professionista. Probabilmente verrà a raccontarvi la solita storia che lui e i suoi docenti conoscono a memoria.
2) Diffidate di quei corsi che non mettono un “tetto” alle presenze in aula. Un buon corso deve avere un forte contenuto di interazione tra formatore e platea. Diversamente è più economico regalare a tutti un buon libro ed evitare di perdere giorni di lavoro in aula. Se l’interazione c’è allora l’aula non deve essere formata da più di 15 persone (meglio sarebbe 10). L’interazione non serve solo a chi apprende ma anche a chi insegna per mantenere costantemente accesa e vitale l’attenzione e la propensione al coinvolgimento. Maggiore è il livello dei manager in aula, minore è la propensione all’ascolto e al coinvolgimento (ciascuno ritiene sempre di sapere quasi tutto, è umano).
3) Valutate attentamente il bilanciamento tra teoria e pratica. Troppa pratica diverte ma lascia poco bagaglio culturale. Troppa teoria satura troppo velocemente la voglia di apprendere e di stare a sentire. Ricordate sempre che state facendo formazione a gente che lavora quotidianamente e che è abituata all’azione.
4) Preferite formatori che non facciano solo quel mestiere. Adesso ironizzo con una famosa frase di Shaw, “Chi può, fa. Chi non può, insegna”. In sostanza il miglior formatore è colui che quotidianamente e con successo svolge o ha svolto una professione. Chi nella vita ha studiato marketing e poi va ad insegnarlo senza averlo mai praticato non può essere che un pessimo formatore. Chi ha fatto due corsi di PNL e poi decide di esserne docente solo perché ha imparato come si motivano i leader (ma non ha mai condotto nessuno, nemmeno il cane al parco), non può essere che un chiacchierone.
Insomma, queste quattro piccole regole si possono riassumere in un’unica: Valutate bene chi vi tirate in casa a formare i vostri manager o il vostro personale. Per male che venga condotto il corso di formazione, questo lascia un segno nella mente di chi ascolta ed è in grado di orientarne i comportamenti successivi e quindi spesso non è solo inutile ma anche dannoso.
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