Storytelling efficace: le lezioni della letteratura e del cinema (parte II)

ryan

Raccontare, raccontarsi, parlare in pubblico o scrivere: attività nelle quali la capacità narrativa è fondamentale. Abbiamo introdotto l’argomento dello storytelling nel primo articolo (leggilo qui) parlando di fiabe, proseguiamo cercando spunti e ispirazioni nella letteratura e nel cinema, per imparare a raccontare la nostra azienda o noi stessi (un colloquio di lavoro non prevede una buona capacità di narrare noi stessi?).
Scrittori e registi sanno bene che le prime righe della prima pagina del libro, o le prime scene di un film decreteranno buona parte del successo degli stessi. L’incipit è infatti la porta che apre la strada alla narrazione di una storia. Ciò vale anche nel caso di una conferenza: il pubblico si aspetta che l’oratore lo conquisti sin dai primi istanti (cosa che non accade quasi mai) per poi trascinarlo senza interruzioni sino alla fine. In qualche modo il patto non scritto e non detto tra lettore e autore, regista e spettatore, conferenziere e pubblico prevede una “provvisoria sospensione del giudizio” da parte di questi ultimi per essere pienamente coinvolti dalla narrazione. Non si tratta di un processo automatico, semplice o veloce; l’incipit ha la funzione di fornire quell’energia iniziale, quella scossa necessaria a far mollare gli ormeggi del pregiudizio e del sospetto e a facilitare l’immersione nella narrazione.

In letteratura vi sono molti artifici, i due più utilizzati sono: catapultare il lettore all’interno della storia (per poi ricostruire gli antefatti e il seguito nelle pagine successive), o costruire una promessa iniziale talmente forte da suscitare il desiderio di proseguire per saperne di più.
Per il primo prendiamo ad esempio Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. L’incipit vale tutto il libro: “Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio”. E’ chiaro che un inizio così non può che catturare la nostra attenzione e non vediamo l’ora di saperne di più di questo colonnello e del perché sia finito davanti al plotone di esecuzione.
Per il secondo approccio, la “promessa”, ci affidiamo a Patrick Süskind e al suo romanzo Il Profumo. “Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali De Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc. oggi è caduto nell’oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre…”. Promessa di una storia straordinaria: il lettore si immerge nel libro immediatamente.
Lo strumento cinematografico gode di alcuni vantaggi apparenti. Ciò che potrebbe occupare una pagina di libro può essere rappresentato in qualche secondo di immagini. L’immagine veicola più informazioni di una serie di parole scritte ma la scelta di un’immagine è già vincolante per la fantasia dello spettatore. Narrando per iscritto o a parole possiamo far leva sulla capacità immaginativa (ossia di creare immagini) di chi ci legge o ci ascolta (chi non ha dato un volto tutto suo al colonnello Buendia o a Grenouille?) mentre nel film le immagini sono preconfezionate e colpiscono lo spettatore senza filtri mentali: le prime immagini possono immergerci in un luogo, presentarci uno o più personaggi, dare un’impronta e un ritmo alla storia.
Narrando a parole possiamo evocare immagini e far leva sulla capacità immaginativa dello spettatore nello stesso momento ma… dobbiamo evocare le immagini giuste. Così come nel cinema (e nella letteratura) non esiste una regola “perfetta”, ma la cosa certa è che l’incipit dovrà dare l’impronta a tutta la narrazione successiva.
Ci sono film che iniziano con l’azione, altri con immagini panoramiche per immergere lo spettatore nella magnificenza di alcuni luoghi. Altri ancora narrano una storia fine a se stessa: pensate alla serie degli 007 in cui l’incipit è una piccola storia, dentro al film, nella quale l’azione iniziale non sempre è collegata agli eventi successivi ma serve ad immergere lo spettatore nel clima dell’azione spettacolare. In altri due casi, Il Padrino di Francis Ford Coppola e Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, i registri hanno voluto inquadrare un’epoca, un ambiente e un evento storico. Coppola in pochi minuti deve far immergere lo spettatore nello spirito e nella mentalità del periodo: la chiave utilizzata è il dialogo. Il Padrino ascolta, il visitatore porge omaggi, espone il problema e chiede il suo favore e la sua protezione. Le successive parole di Marlon Brando forniscono un breve prontuario del sistema di valori che governa quell’ambiente, e lo spettatore ne entra a far parte immediatamente. Nel film di Spielberg viviamo un’esperienza molto diversa: si parte dall’immagine di un vecchio che cammina in un cimitero americano. Poi l’inquadratura si sposta direttamente sulle immagini dello sbarco in Normandia. Siamo al 6 giugno 1944 e per mezz’ora viviamo con una crudezza quasi fisica la tragedia della guerra non vista dall’alto o dall’esterno ma fianco a fianco dei protagonisti. Scene che difficilmente potranno essere dimenticate da chi ha visto il film… diversamente dalla storia poi narrata dal film che non è certamente stata all’altezza dell’incipit. La promessa non è stata mantenuta, e di quel film ricordiamo uno straordinario incipit e poco altro. Una cosa è certa, però, così come non occorre conoscere la Seconda Guerra Mondiale per comprendere la ferocia della guerra narrata da Spielberg, né la Mafia degli anni ’50 per comprendere il film di Coppola, i due registi ci insegnano che un buon inizio (e una buona narrazione) traggono forza dalle cose che ogni spettatore conosce per poi iniziare a svelargli ciò che non conosce.

Un’altra lezione, questa, per apprendere a narrare: l’incipit molto potente ed evocativo deve poi essere sostenuto da una narrazione efficace capace di amalgamare efficacemente contenuti, spunti emozionali e conclusioni coerenti. 

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