Comunicazione e narrazione di Charlie Brown, e del suo cane Snoopy

charlie brown

Charlie Brown e Snoopy, il mondo dei Peanuts: sfogliando qualche vecchia striscia a fumetti mi è sorta qualche riflessione sulla costruzione di questi personaggi e sull’impianto narrativo ideato nel 1950 dal loro “padre” letterario, Charles Monroe Shulz. In realtà, sui Peanuts sono stati versati fiumi di inchiostro, alla ricerca di reconditi significati e sottili interpretazioni; non pretendo quindi di aggiungere nulla a quanto già detto da più arguti e preparati commentatori. La mia riflessione si basa sulla comunicazione, sulla metafora narrativa e sulla costruzione di un mondo, quello di quei bambini, a mio avviso esattamente speculare al mondo degli adulti.
Ogni personaggio porta in sé, infatti, tutti i pregi e i difetti degli adulti, in realtà è già, caratterialmente, completamente adulto a partite dal protagonista, Charlie Brown, che rappresenta il tipico uomo medio assillato dalle nevrosi causate dalla vita moderna. Inetto nelle cose che fa, tiranneggiato persino dal suo cane, Snoopy, è costantemente in bilico sulla nevrosi. Normodotato per natura, per questo vilipeso e sbeffeggiato da Lucy e dalle altre protagoniste femminili del suo mondo, rappresenta la “normalità” dell’uomo della strada. A tal punto che nel lettore, alla prima sensazione di simpatia per le sfortunate avventure del protagonista, si sostituisce presto la consapevolezza che a Charlie Brown le cose vadano male per colpa sua, per la sua stessa inettitudine.
A decretarne la mediocritas alcuni fatti: gli amici e persino la madre, lo chiamano con il nome e il cognome, quasi a sottolineare la necessità di usare entrambi nel disperato tentativo di dare un qualche spessore alla persona e, di contro, il suo desiderio spasmodico di primeggiare, di essere visto come punto di riferimento in un microcosmo fatto di pianeti che, in realtà, non comunicano tra loro.
Nel mondo Peanuts non ci sono, infatti, amici. Come accade tra gli adulti, molte solitudini si affiancano l’una all’altra: Linus, aggrappato alla sua coperta, al feticcio, all’unico punto di riferimento che lo può salvare dallo smarrimento. Schroeder, sprofondato nell’autismo dell’estasi estetica, trae dal suo piccolo pianoforte fasullo accordi di una complessità spaventosa e rimane chiuso nel proprio mondo fantasioso, sordo, come l’autore che adora: Beethoven. Pig Pen, il bambino sempre sporco e trasandato è l’escluso per antonomasia, inavvicinabile e in avvicinato dagli altri protagonisti del fumetto.
Infine Snoopy, l’antistrofe suprema della condizione umana.
Cane che non vuole essere tale, ultima frontiera del disadattamento, tenta di essere di volta in volta aviatore, avvoltoio, coccodrillo, serpente… e resta un cane. Resta tale per genetica e pigrizia, per fame, inettitudine e irreversibilità della condizione canina (e umana).
Shulz grande narratore, poeta dell’infanzia o psicanalista feroce? Forse per questa ambiguità interpretativa rimane un classico intramontabile da più di mezzo secolo.

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